Palestrina e le sue declinazioni nel tempo - Volume 2. L'arte della polifonia: La Missa Ut Re Mi Fa Sol La
Il secondo intervento della Giornata di Studio Palestrina e le sue declinazioni nel tempo ha visto protagonista il prof. Luigi Ciuffa, che ha condotto il pubblico in un percorso di ascolto analitico dedicato alla Missa Ut re mi fa sol la. Il relatore ha mostrato come l’esacordo, da semplice strumento didattico della solmisazione, diventi per Palestrina un principio generativo che struttura la Messa dall’interno e ne sostiene l’unità formale ed espressiva.
La Missa Ut re mi fa sol la, pubblicata nel terzo libro delle Messe del 1570 ma quasi certamente composta nel decennio precedente, si fonda su un cantus firmus affidato alla voce di tenor. L’esacordo vi compare in forma integrale, talvolta frammentato, talvolta aumentato o diminuito, sempre però riconoscibile come asse interno che attraversa tutte le sezioni. Quanto osservato dal prof. Ciuffa - in particolare riguardo al controllo rigoroso della dissonanza e alla gestione delle linee secondo un tactus interno - abbraccia e conferma l’analisi compiuta da Jeppesen, secondo cui la costruzione palestriniana mantiene un diatonismo rigoroso e una continuità contrappuntistica costante. La scelta della mensura a semibreve piena e l’attenzione alla comprensibilità del testo si collocano nel clima post-tridentino, pur senza sacrificare la naturale fluidità del contrappunto.
Nell’analisi della Missa sono emersi con particolare evidenza due elementi che ne definiscono l’impianto sonoro: lo stile “alla romana”, caratteristico della scuola polifonica di metà Cinquecento, e l’adozione di strutture melodico armoniche basate sulla quarta, generate direttamente dall’esacordo. Lo stile alla romana si riconosce nella scrittura vocale a cappella, nel contrappunto attentamente sorvegliato e nell’aspirazione costante alla chiarezza testuale: le voci procedono per grado congiunto, le dissonanze sono preparate e risolte con rigore, e l’alternanza fra episodi imitativi e momenti più omoritmici assicura una lettura nitida dei testi liturgici.
All’interno di questa cornice, il ricorso all’esacordo conferisce alla Messa un profilo modale ancorato a relazioni strutturali centrati sulla quarta, che organizzano i punti di partenza e di arrivo delle frasi, definiscono le cadenze e sostengono l’articolazione interna di Kyrie, Gloria, Credo, Sanctus e Agnus. L’esacordo diventa così non un semplice tema, ma un principio strutturale che garantisce continuità formale e identità unitaria all’intero ciclo.
Un altro elemento centrale nella costruzione della Missa è il tactus, concepito non come un ritmo meccanico o costante da eseguire rigidamente, ma come principio interno di equilibrio che regola l’intero flusso polifonico. Come ha evidenziato Ciuffa, il tactus funge da misura ideale che sostiene le voci nelle loro entrate, nelle sospensioni e nelle cadenze, consentendo contemporaneamente flessibilità nella gestione di accenti, legature e articolazioni melodiche. In questo modo ogni movimento mantiene coerenza e proporzione, mentre le voci possono modulare dinamica e durata relativa senza perdere trasparenza né intelligibilità. La funzione del tactus diventa quindi strutturale e interpretativa: è il battito sottile che unifica l’insieme della composizione, permettendo al contrappunto di respirare e adattarsi alle esigenze retoriche del testo, secondo una logica interna che Ciuffa riconosce come tratto distintivo dello stile palestriniano.
La varietà interna dei movimenti conferma questa coerenza stilistica. Il Kyrie alterna ingresso imitativo e risposte più compatte, mentre Gloria e Credo privilegiano sezioni omoritmiche nei passaggi dottrinalmente più densi. Il Crucifixus concentra il discorso in un registro più raccolto; il Sanctus gioca sul contrasto tra proporzioni binarie e ternarie, culminando in un Hosanna arioso; il Benedictus riprende una scrittura più imitativa. Nei due Agnus Dei l’inventiva di Palestrina raggiunge uno dei suoi vertici: il primo amplia il cantus firmus, mentre il secondo introduce la settima voce e un canone alla subdiapente che irradia equilibrio e trasparenza.
Tra gli aspetti più significativi messi in rilievo da Ciuffa vi è l’uso delle cosiddette note di cerniera, o note-snodo. Si tratta dei punti in cui una linea ascendente si piega in discesa o viceversa: momenti non tematici ma strutturali, capaci di sostenere la continuità della frase e facilitare ingressi imitativi, sospensioni e ricadute cadenzali. Nella Missa Ut re mi fa sol la l’esacordo accentua la funzione di queste note, che assorbono la tensione melodica e restituiscono equilibrio al movimento complessivo.
L’insieme della Messa rivela una sintesi magistrale di rigore tecnico, chiarezza formale e intensità espressiva. Grazie all’analisi di Ciuffa, l’opera si è mostrata non solo come un monumento della polifonia rinascimentale, ma come un organismo sonoro ancora vivo, nel quale la precisione del disegno contrappuntistico convive con una sorprendente capacità di parlare all’ascoltatore contemporaneo con freschezza e profondità.
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