Palestrina e le sue declinazioni nel tempo - Volume 3. Drappeggi e fraseggi nel Rinascimento: dialoghi fra plasticità figurativa e articolazione musicale
Il terzo intervento - non in ordine cronologico - della Giornata di Studio Palestrina e le sue declinazioni nel tempo ha visto protagonista Walter Marzilli, che ha proposto un singolare dialogo tra forma e senso sacro, mettendo in luce come la plasticità figurativa dei drappeggi rinascimentali si traduca in articolazioni musicali concrete. Tra chiaroscuri pittorici e fraseggi vocali, viene esplorato il legame tra percezione visiva e prassi esecutiva, mostrando come la dinamica dei panneggi possa guidare l’orecchio attraverso un percorso sonoro fatto di tensione, rilascio e varietà espressiva.
Il contributo di Walter Marzilli docente al Pontificio Istituto di Musica Sacra e all’University of Notre Dame (USA), ha riguardato un’analisi delle corrispondenze estetiche e formali tra prassi esecutiva musicale e arti figurative, con un’attenzione particolare ai periodi rinascimentale e barocco. Il relatore ha fatto riferimento alla cosìddetta “legge delle aree periferiche”, concetto mutuato dalla fisica, ovvero l’idea che un movimento, partendo da un centro, si rafforzi e acquisisca maggior vigore nelle aree a cui si espande, anche quando nel luogo di origine tende a dileguarsi.
Applicando questo principio all’arte musicale, la ricerca delle dinamiche vocali perdute non va condotta laddove la tradizione era nata, ma nelle zone periferiche, nelle tracce strumentali sopravvissute, in particolare negli archetti rinascimentali e barocchi la cui forma curva, contrariamente a quella moderna, non consentiva un suono costante e uniforme ma suggeriva un fraseggio intrinsecamente articolato e variabile.
Marzilli ha evidenziato come questa dinamica sonora potesse riflettersi nel fraseggio dei cantori rinascimentali, oggi in gran parte perduto, che probabilmente era animato da sfumature, accenti e micro‑variazioni trasmesse anche dalla struttura degli strumenti a corda dell’epoca. I parallelismi con le arti visive diventano sempre più evidenti: in pittura e scultura i drappeggi non erano superfici statiche ma forme vive, capaci di seguire i corpi, definire volumi e suggerire movimenti. Nel passaggio dalle rappresentazioni levigate e ieratiche dei primi secoli a un’espressività plastica e drammatica, soprattutto nel Seicento, la luce e l’ombra assumono un ruolo determinante per conferire profondità, animare le figure e far emergere il corpo dallo sfondo.
Un esempio significativo di questa tensione plastica è l’opera di Caravaggio. Nei suoi dipinti la luce tagliente e le ombre profonde rendono la materia corporea come scolpita, animata, resa viva. Il chiaroscuro, la modellatura del volto, la resa del panneggio diventano strumenti per evocare movimento, dolore, pathos. In questa visione il drappeggio non è semplice decorazione ma componente strutturale del dinamismo visivo. Tale dinamismo trova un equivalente nella musica polifonica rinascimentale e barocca in cui le voci si intrecciano, si separano, si riconvergono in flussi continui di tensione e distensione, di consonanza e dissonanza, di slancio e riposo.
Altri snodi teorici rafforzano questo dialogo tra le arti. La scoperta della prospettiva in pittura, che guida lo sguardo verso un punto di fuga, coincide con la struttura modale musicale che conduce l’orecchio verso la finalis. L’analogia suggerita con il periodo cubista in pittura e l’atonalità in musica illumina come la frattura della tradizione prospettica o tonale equivalga a una dissoluzione delle gerarchie percepite, un’esplorazione dell’astrazione e della libertà formale. Allo stesso modo la cosiddetta “prospettiva dei colori”, in cui i toni si attenuano con la distanza per suggerire profondità, può essere accostata alle modulazioni musicali, che allontanano e rendono meno definita la tonalità originaria.
Marzilli spiega che con il passare del tempo, gli archetti musicali subirono una trasformazione significativa. Dopo gli archetti rinascimentali, corti e convessi, e quelli barocchi che permettevano un decrescendo al tallone e un crescendo alla punta, si svilupparono strumenti intermedi che anticipavano le esigenze del Classicismo.
Questi archetti di transizione erano più lunghi, leggermente più dritti e più stabili nella tensione dei crini, consentendo esecuzioni più omogenee e legate pur mantenendo una certa agilità e articolazione ereditata dall’archetto barocco. Con l’avvento degli archetti moderni, come quelli di Viotti alla fine del Settecento, la curvatura si accentuò nella forma concava definitiva, permettendo di produrre suoni lunghi, continui e uniformi, adatti al fraseggio romantico e alle sonorità più sostenute, parallele ai drappeggi uniformi e allungati delle sculture del XIX secolo.
Marzilli suggerisce così che la storia della musica e quella delle arti plastiche, non procedono come filiere separate ma come rami di un medesimo albero culturale. Le trasformazioni tecniche degli archetti rispecchiano una trasformazione del gusto estetico, del rapporto con materia, luce, forma, movimento. Il fraseggio, un tempo vivo e flessuoso, trova la sua analogia nelle pieghe animate di panneggi e nella plasticità dei volumi. Quando l’archetto cambia, quando la scultura cambia, anche la sensibilità artistica cambia insieme.
Pensare la musica in termini plastici e la pittura in termini temporali permette di cogliere l’unità profonda di pratiche artistiche apparentemente distinte e di interpretare l’arte come ricerca costante di armonia. Così la coscienza moderna di una continuità tra immagine e suono, tra visione e ascolto, trova le sue radici in una storia che attraversa il Rinascimento, il Barocco e il Classicismo.
E' in questa prospettiva che, secondo il mio modesto parere, Marzilli, ci ha condotto a riflettere e a comprendere come il mutare degli strumenti, delle tecniche e delle sensibilità estetiche non sia mai solo una questione tecnica ma questione di visione del mondo, di concezione dell’arte e di modo di dare forma e suono al vivere umano.

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