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AUTUMN SONGS. Cantatas and Songs from Rome. Dal Fondo Doria Pamphilj alla contemporaneità: itinerari nella vocalità romana

Un percorso raro nella tradizione vocale romana, il concerto AUTUMN SONGS, Cantatas and Songs from Rome, organizzato da Romaeterna Cantores e con la direzione artistica del Maestro Aurelio Porfiri, vedrà protagonisti il soprano Maria Chiara Forte e il pianista Massimiliano Franchina. Il programma nasce da una ricerca approfondita condotta da Maria Chiara Forte sul fondo musicale Doria Pamphilj, da cui provengono alcune cantate, in particolare di Carissimi e Caproli. A questi si affiancano brani di altri compositori romani - come Rosa, Scarlatti, Respighi e Agostini - che, pur non appartenendo al fondo, furono eseguiti nelle corti romane o ne proseguono idealmente la tradizione fino ai nostri giorni. Il percorso include inoltre la prima assoluta della nuova cantata di Aurelio Porfiri su testo di Benedetto Pamphilj.


Il concerto, che si terrà il prossimo 30 novembre alle 20.30 presso il Museo Ospitale di Santa Francesca Romana, è un invito all’ascolto che va ben oltre il semplice concertare; AUTUMN SONGS si configura come un vero e proprio atto di recupero storico, valorizzando pagine ancora poco note o del tutto dimenticate della tradizione musicale romana.

Al centro del progetto vi è una ricerca filologica sul prezioso fondo musicale Doria Pamphilj, svolta da Maria Chiara Forte, che conserva manoscritti di inestimabile valore. Quella che Romaeterna Cantores ci offre non è soltanto una selezione di brani antichi, ma un viaggio nel tempo, dalla Roma barocca al Novecento, capace di far emergere voci compositive marginali ma fondamentali per comprendere la ricchezza culturale della città.

Forte e Franchina diventano allora interpreti-palinsesto, leggendo melodie seicentesche e novecentesche come tracce di un continuum storico vivo. Accanto ad autori di fama straordinaria, compare anche una prima assoluta firmata da Aurelio Porfiri su testo di Benedetto Pamphilj che va ad arricchire un itinerario sonoro di grande vitalità, illuminando la continuità della scuola vocale romana dal Seicento alla contemporaneità.

È evidente come il recital si distingua per la qualità del materiale riportato alla luce, interpretato con uno sguardo stratificato che mette in risalto sia le tracce storiche delle melodie seicentesche e novecentesche sia la loro nuova lettura, restituendo alla musica la densità dei diversi strati temporali.

Al centro del programma, come accennavo, c’è il fondo Doria Pamphilj, uno dei nuclei più importanti per la storia della cantata romana. La scelta dei brani restituisce di fatto la varietà di forme e sensibilità che animavano la vita musicale di Palazzo Doria Pamphilj tra Seicento e primo Settecento.

La serata si apre con "E bello l’ardire d’un anima" di Giacomo Carissimi, pagina emblematica della cantata morale romana. La struttura alterna recitativi agili e sezioni ariose dal profilo melodico sobrio, tipico del linguaggio di Carissimi. L’immagine dell’anima ardente viene resa attraverso una scrittura essenziale che lascia emergere il peso retorico delle parole.

Segue "Tu mancavi a tormentarmi" di Carlo Caproli, spesso attribuita erroneamente a Cesti nei cataloghi più datati. Il brano si muove su una linea più teatrale. La cantata lavora sulla reiterazione emotiva del lamento amoroso, con un uso della melodia più ampio e un continuo gioco di sospensioni armoniche. La scrittura di Caproli evidenzia un gusto spiccato per l’accento drammatico, tratto che lo colloca tra i protagonisti della scena vocale romana della metà del Seicento.

Con "Star vicino" di Salvatore Rosa si entra in un territorio differente. Rosa, pittore e poeta oltre che musicista, predilige un linguaggio diretto. L’aria poggia su una linea vocale semplice, sostenuta da un disegno armonico terso, e punta su un lirismo immediato che anticipa modelli più tardi.

Il nucleo scarlattiano rivela una scrittura più complessa. Le arie "Son tutta duolo", "Se Florindo è fedele" e "Chi vuole innamorarsi" rappresentano tre volti del teatro scarlattiano romano. Nel primo caso prevale la linea patetica, costruita su un basso continuo regolare che sostiene la vocalità. Le altre due arie, estratte da lavori teatrali, offrono invece un ritmo narrativo più serrato e una declamazione ricca di inflessioni drammatiche. La cura del fraseggio rivela la piena maturità del compositore, che in questi anni definisce la fisionomia della cantata tardo barocca.

Con Ottorino Respighi il programma approda al primo Novecento. "L’ultima ebbrezza", su testo di Ada Negri, lavora su un colore pianistico fitto che richiama i paesaggi poetici della scrittrice. "Ma come potrei", dal Decameron, mostra un gusto più lineare e si affida al contrasto tra un canto disteso e armonie leggere. Respighi rilegge il passato italiano con sensibilità moderna, senza indulgere in effetti monumentali.

I Tre frammenti di Giuseppe Agostini introducono un linguaggio più rarefatto. Il compositore romano sviluppa un discorso intimo, fatto di incisi brevi e atmosfere trasparenti. La voce si muove con estrema economia e il pianoforte lavora per sottrazione. Il risultato è un microcosmo sonoro coerente, in cui memoria e modernità convivono con naturalezza.

La prima esecuzione della cantata "Dorme la rosa" di Aurelio Porfiri costituisce il momento centrale della serata. Il testo del cardinale Benedetto Pamphilj, figura di riferimento della cultura romana barocca, offre un contenuto fortemente simbolico. Porfiri lavora sulla prosodia e costruisce una struttura che alterna meditazione e slancio lirico. La scrittura vocale è pensata per un legato ampio, mentre il pianoforte assume un ruolo narrativo che amplifica le immagini poetiche. Il risultato è un omaggio consapevole alla tradizione della cantata romana, interpretata con una sensibilità attuale.

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